Lei, però, fu costretta a partire già nel 1946: «Il primo maggio del 1945 – racconta infatti – la sera suonarono alla porta due titini, volevano mio padre. Lui chiese perché lo cercassero, ma i due lo tranquillizzarono dicendo che era pura formalità, dovevano condurlo al Comando per alcune informazioni. Mio padre chiese se doveva portarsi dietro qualcosa, ma di nuovo lo rassicurarono, così uscì col vestito che indossava e una sciarpa. Sciarpa che giorni dopo i miei videro al collo di un titino... Da quella sera non seppi più nulla di lui. Avevo 3 anni e mezzo... Per molti anni la nonna metteva da parte ogni sera un pezzo di pane, aspettando che papà facesse ritorno ...».
Suo padre Kurt Haffner, 26 anni, probabilmente infoibato quella stessa notte nell’abisso di Pisino, era figlio di un ungherese di Budapest che a Pola – città mitteleuropea – aveva una gioielleria, e di una viennese, pasticcera a Pola. La mamma, Ersilia Camenaro, era invece figlia di un croato e di una istriana di Pisino. Sono i paradossi di quelle terre, da millenni crocevia di popoli che, incrociando i loro saperi, le hanno rese uniche per vitalità e fermenti culturali: «In casa parlavamo tedesco, italiano e ungherese» ricorda la stessa Egea. Erano quindi terre cosmopolite, che avevano positivamente beneficiato, da questo punto di vista, dell’appartenenza al grande impero asburgico.